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Febbraio 1, 2019Quanto è stato imposto dal recente orientamento giurisprudenziale di legittimità (Rif. nelle sentenze 1182/2018, 1896/2018, 9087/2018 e 16347/2018 della Corte di Cassazione), è un deciso cambio di rotta sulla qualificazione giuridica della natura degli accordi di ristrutturazione del debito varata con lo schema di decreto attuativo approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 8 novembre e ora in attesa dei pareri parlamentari.
Gli accordi di ristrutturazione sono procedure concorsuali, e non uno strumento negoziale privatistico, in quanto regolati da meccanismi che le contraddistinguono, secondo quanto ha stabilito la Suprema corte.
L’esenzione per gli atti compiuti in loro esecuzione dall’azione revocatoria fallimentare, il deposito di un ricorso, la pubblicazione nel registro delle imprese, l’intervento del tribunale con il decreto di omologazione e la disponibilità di misure protettive temporanee.
Le conseguenze potranno essere rilevanti, sia in termini sia processuali sia di autonomia ed efficienza negoziale.
La questione è delicata perché non esiste una definizione giuridica di procedura concorsuale cui riferirsi, né decisioni e tantomeno orientamenti) giurisprudenziali che ne abbiano delineato la nozione, cosicché il perimetro rimane irrimediabilmente incerto. L’esame trasversale della disciplina fallimentare consente di individuarne i tratti tipici (si veda la grafica qui a destra), utili ai fini classificatori ma privi, ovviamente, di effetti cogenti.
Non resta quindi che esaminare singolarmente le motivazioni addotte dalla Suprema corte. L’esenzione dall’azione revocatoria non appare decisiva, posto che costituisce l’effetto naturale anche del piano attestato di risanamento, che la stessa Corte di cassazione (sentenza 1895/2018) esclude dal novero delle procedure concorsuali, assegnandogli natura di convenzione stragiudiziale.
Analoga valutazione per la pubblicità derivante dall’iscrizione nel registro delle imprese, che tra l’altro è richiesta per tutte le operazioni straordinarie, che con crisi e insolvenza nulla hanno a che fare.
L’intervento del tribunale nell’omologa dell’accordo di ristrutturazione del debito appare molto limitato rispetto alle verifiche di fattibilità giuridica ed economica cui è tenuto nel concordato preventivo.
Infine, le misure protettive che inibiscono temporaneamente l’iniziativa individuale del creditore a favore del concorso, unico punto di vero contatto tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo, sembrano più funzionali a creare le condizioni per il superamento della crisi che a contraddistinguere una procedura concorsuale, posto che nella prospettiva della riforma diverranno disponibili anche nell’ambito delle procedure di allerta, che di concorsuale non hanno certamente nulla.
Le motivazioni, in sostanza, appaiono incerte, e nulla dicono su universalità e concorsualità della regolazione, aspetto che segna oggi il vero confine tra una procedura concorsuale, in cui è inderogabile la parità di trattamento dei creditori, e l’accordo, in cui il debitore è libero di scegliere con chi accordarsi e come, beneficiando i diritti dei creditori degli effetti protettivi del dissenso.
Sul punto specifico nemmeno la riforma è dirimente. Si prevedono elementi nuovi, tra cui la limitazione della sovranità del debitore sull’impresa e la possibilità di nomina di un commissario in presenza di istanze di liquidazione giudiziale, che riducono la distanza tra accordo di ristrutturazione e procedure concorsuali, pur senza annullarla.
È una logica di tutela comprensibile, nella misura in cui la riforma prevede che a precise condizioni gli effetti dell’accordo possano travalicare la dimensione puramente negoziale, ed estendersi ai dissenzienti. Ma nel tempo che ancora c’è per il varo definitivo – probabile entro gennaio – e i 18 mesi della successiva vacatio legis , si può sperare in qualche precisazione.