Appalti e mancata rotazione: come impugnare presso il giudice amministrativo
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Aprile 2, 2019Il danno da ritardo, di cui all’art. 2-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, può configurarsi anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio e non solo in quelli ad istanza di parte.
Questo il principio espresso dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 15 gennaio 2019 n. 358.
I magistrati amministrativi hanno ricordato che l’Adunanza plenaria 4 maggio 2018, n. 5 riconosce il danno da ritardo «a prescindere dalla spettanza del bene della vita sotteso alla posizione di interesse legittimo su cui incide il provvedimento adottato in violazione del termine di conclusione del procedimento», ricollegandolo alla lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale e subordinandolo, comunque, a rigorosi oneri di allegazione e prova dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità.
I magistrato sottolineano che «tale ricostruzione presuppone di regola, come è evidente, la natura imprenditoriale del soggetto che assume essere stato leso dal ritardo dell’amministrazione nell’emanazione del provvedimento, dovendosi invece ritenere che, negli altri casi, sia indispensabile la prova della spettanza del bene della vita cui si ricollega la posizione di interesse legittimo.
Perché, dunque, possa parlarsi di una condotta della Pubblica amministrazione causativa di danno da ritardo, oltre alla concorrenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità ex articolo 2043 codice civile, occorre che esista, innanzi tutto, un obbligo dell’amministrazione di provvedere entro un termine definito dalla legge a fronte di una fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento tardivamente emanato».
E tale obbligo di provvedere sussiste, ai sensi del comma 1 dell’articolo 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 laddove vi sia un obbligo di procedere entro un termine definito («ove il provvedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio»).
Al contempo, deve ritenersi che – sussistendo i suddetti presupposti – il danno da ritardo, di cui all’articolo 2-bis della legge n. 241 del 1990, può configurarsi anche nei casi in cui il procedimento debba essere avviato di ufficio (e, dunque, vi sia l’obbligo di concluderlo).
Con riferimento ai procedimenti avviati d’ufficio, ha chiarito la IV Sezione di palazzo Spada che la possibilità di configurare il danno da ritardo si desume, oltre che da ragionevoli argomentazioni di ordine generale, dalla evidente differenza letterale tra i primi due commi dell’articolo 2-bis, dove solo il secondo di essi (comma 1-bis), si riferisce espressamente al procedimento ad istanza di parte.
Ma, in questo caso, soccorre sia la chiara previsione normativa di un termine per l’avvio e per la conclusione del procedimento (supplendo in questo secondo caso, in difetto di previsione, il termine generale di cui all’articolo 2, comma 2, legge n. 241 del 1990), sia l’esistenza di una posizione di interesse legittimo che, come tale, presuppone la natura provvedimentale dell’atto medesimo.