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Novembre 7, 2017La relazione tra cane e padrone è un «legame affettivo» a tutti gli effetti, infatti, non si può considerare “futile” la perdita dell’animale, «specie nel caso in cui il rapporto sia radicato da tempo», in quanto va a ledere la sfera emotivo-interiore del padrone.
Sono queste, in sintesi, le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma del 27/03/2015, ha condannato un veterinario al risarcimento del danno morale, oltreché di quello patrimoniale, per avere causato con una sua condotta negligente la morte di un cane.
Secondo quanto emerso dalla documentazione prodotta in giudizio, comprendente anche l’esame autoptico sull’animale, il cane sarebbe deceduto in seguito all’ingestione di un osso che avrebbe causato una occlusione dell’esofago con lacerazione dei tessuti e con un conseguente versamento di liquido.
Una circostanza, questa, che, come confermato in appello, avrebbe potuto essere accertata con l’ausilio di esami clinici di routine, se il veterinario non avesse sbagliato diagnosi e successivamente non fosse stato in grado di correggere l’errore. Insomma, sembra suggerire la Corte d’Appello, se il professionista avesse individuato il problema in modo tempestivo, probabilmente avrebbe potuto salvare l’animale.
Ma la Corte d’Appello è stata anche molto chiara sulla parte del ricorso con cui si contestava il riconoscimento del danno morale ritenendolo insussistente.
«Nel caso di un cane da compagnia – scrivono i giudici di secondo grado – è fin troppo noto come le abitudini dell’animale influiscano sulle abitudini del padrone e come il legame che si instaura sia di una intensità particolare, sicché affermare che la sua perdita sia `futile´ e non integri la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata, non sembra più rispondente ad una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori».
Il danno da perdita di animale d’affezione rientra nella più ampia categoria del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), riconducibile, secondo un’opinione, alla specie danno esistenziale mentre, secondo diverso orientamento, al danno morale.
Mentre infatti sembrava orientata nel primo senso seppure negandone la risarcibilità Cassazione (Cass. sez. III, sent. n. 14846/2007), si esprime invece a favore della qualificazione nell’ambito del danno morale la più recente Cass., sez. III, sent. n. 4493/2009.
Non si può però escludere anche la possibilità che la perdita dell’animale d’affezione possa determinare un vero e proprio danno biologico qualora la perdita comporti nel “padrone” dell’animale l’insorgenza di una vera e propria patologia (es: depressione).
Relativamente al danno patrimoniale, invece, nessun dubbio sussiste sulla sua risarcibilità, commisurato al valore venale dell’animale o alle spese per le cure necessarie in caso di lesioni, non essendovi ragioni per discostarsi dai principi generali in tema di risarcibilità del danno emergente conseguente a fatto illecito.
Gli animali d’affezione, pur essendo, come tutti gli animali, parificati alle cose che possono formare oggetto di diritti (art. 810 c.c.) e quindi di risarcimento danni.
In altri termini, la Corte d’Appello ha riconosciuto quel coinvolgimento affettivo che nasce dalla relazione che si instaura tra l’uomo e il proprio animale da compagnia, facendo così un ulteriore passo avanti verso il pieno riconoscimento degli animali come “esseri senzienti” all’interno della nostra legislazione, come già stabilito dall’Unione Europea all’art. 13 del TFUE.